Perché "The Great Wallendas"?

Il 21 gennaio del 1905, all'interno di una famiglia di circensi professionisti, nasce a Magdeburgo (Germania) Karl Wallenda.
Affascinato in maniera quasi ossessiva dall'arte del funambolismo, già alla tenera età di 6 anni entra a far parte del gruppo artistico di famiglia "The Great Wallendas", in qualità di equilibrista.
Dopo numerosi tour di successo in Europa, nel 1928 debutta negli Stati Uniti, tentando la traversata del Madison Square Garden.
In occasione di questo evento Wallenda si esibisce per la prima volta in carriera senza reti di protezione (la leggenda vuole che fosse stata smarrita durante la traversata in nave), diventando a tutti gli effetti il primo funambolo professionista della storia ad esibirsi senza reti di protezione.
Da quel giorno Karl abbandona per sempre la rete di protezione durante i suoi spettacoli ("una rete non è altro che un insieme di buchi") e ottiene la consacrazione definitiva.
L'amore incondizionato per la sua professione non ha fine e le sue esibizioni continuano anche in età avanzata (nel 1970, a 65 anni, attraversa sopra una fune il fiume Tallulah, in Georgia, davanti agli occhi sbalorditi di decine di migliaia di persone).
Ma è nel 1978 che si consacra definitivamente il mito. 
Karl ha 73 anni e decide di tentare un nuovo numero da record: la traversata delle torri del Condado Plaza Hotel a San Juan (Puerto Rico).
Un errore umano del suo staff, però, relativo alla sistemazione delle corde secondarie (quelle che servono a tenere in tensione la corda principale), lo fa precipitare al suolo ad una velocità di 48Km/h, facendogli perdere la vita all'istante.
La scena viene trasmessa in diretta televisiva.
Poco tempo prima Karl, a quanti gli chiedevano perché non volesse ritirarsi dall'attività, vista l'età ormai avanzata, aveva risposto: "perché stare sul filo è vivere. Tutto il resto è aspettare".

Ecco perché il nostro collettivo, seppure nato in campo musicale, prende il nome dal celebre gruppo di equilibristi tedeschi.
Perché "vivere sul filo" è un concetto che va ben oltre al semplice significato letterario.
Significa cercare di vivere la propria vita, la propria arte, in maniera autentica e, se necessario,  anche autarchica.
E fare musica "sul filo" significa proprio questo: essere disposti a mettersi in gioco, portando sul palco le proprie idee, il proprio stato d'animo, le proprie riflessioni, alla ricerca di una condivisione collettiva capace di dare vita ad un'identità di gruppo.
Perché, come disse Giovanni Falcone: "bisogna compiere fino in fondo il proprio dovere, costi quel che costi. E' in ciò che risiede l'essenza della dignità umana".